Cari genitori

Continuando il percorso avviato con la prima parte di “Educare è possibile” propongo una selezione di riflessioni  che fanno riferimento a “Urlare non serve a nulla” di Daniele Novara ed Rizzoli. A chi volesse approfondire consiglio la lettura integrale del testo, ricca di esempi tratti dalle esperienze professionali dell’autore e proposte di tecniche come: il cestino della rabbia, l’angolo del litigio, il silenzio attivo.

Da prassi educative rigide siamo passati a una cura infantile , una protezione continua con una eccessiva attenzione alle funzioni affettuose. Accudiamo più che educare.

Nel compito educativo esiste una dimensione organizzativa che non può essere trascurata, non possiamo limitarci alla sola dimensione emotiva.

Il genitore emotivo:

  • chiede spesso al figlio cosa fare
  • tende ad offendersi
  • è spesso in competizione con l’altro genitore
  • teme che se usa troppa fermezza il bambino sarà traumatizzato.

Regole ed educazione non vanno confusi con comandi ed obbedienza. Il genitore emotivo tende a dire che basta amare per educare mentre è necessario anche organizzarsi.

Semplificando, il “ruolo materno” è quello della dedizione assoluta, interessa il primo e parte del secondo anno di vita del bambino. Crescendo il bambino ha bisogno di maggiore distacco e deve entrare in gioco sempre più un “ruolo paterno”, iniziare a mettere limiti e regole, rischiare, cercare l’avventura e fare esperienze. Si presta bene l’immagine della sponda del biliardo che limita ma fa ripartire perché la palla vi rimbalza.

Se il padre vuole assumere un ruolo paterno deve favorire la coesione educativa nella coppia genitoriale, dare il limite e nello stesso tempo spingere ad andare, imparare a distinguere tra regole e comandi, fare emergere le risorse dei figli che ce la possono fare e sono capaci.

Nell’infanzia è sufficiente la chiarezza delle regole nell’adolescenza non basta ci vuole strategia, capacità di ascolto e di negoziazione.

Il genitore educativo è capace di gestire i conflitti con i figli che non va confuso con il vincere o perdere.

I bambini litigano tra loro e cercano nell’adulto conferme, gli adolescenti  entrano in conflitto con l’adulto per potersene allontanare.

Evitare interventi educativi che tendono a trasformare i bambini in tiranni, che tendono a comandare sui genitori:

  • servizievolezza eccessiva, ci si sostituisce anche quando il bambino è autonomo
  • anticipo dei bisogni
  • continua assistenza
  • discussionismo, parlare invece di educare
  • delega decisionale,cioè coinvolgere il bambino in questioni che non è in grado di affrontare.

L’età infantile è caratterizzata da una dipendenza dal mondo genitoriale, i bambini fino a 9 anni hanno un pensiero prevalentemente magico e di fantasia non tendono ad astrarre, nella seconda infanzia (6-10 anni) domina l’esigenza di modellarsi sui genitori il bambino tifa la stessa squadra del papà e la bambina vuole aiutare la mamma. E’ una età in cui sono particolarmente aperti al confronto, disponibili ad apprendere e capaci di collaborare. Stanno volentieri su abitudini ben acquisite, sono operativi e cercano negli adulti schemi ripetuti. hanno bisogno di sentirsi contenuti da guide sicure.

La regola è la base di un principio educativo che si basa sull’organizzazione, le regole permettono di strutturarsi spazi di libertà e mappe per orientarsi:

distinguere tra regola e comando, la regola è impersonale;

la regola aiuta ad evitare la degenerazione emotiva legata all’emergere di propri vissuti nel genitore.

  • le regole vanno sostenute da entrambi i genitori
  • le regole devono essere chiare, comprensibili al bambino,
  • le regole devono essere realistiche e adeguate all’età,
  • le regole devono essere sostenibili, non è sostenibile “corri ma non sudare”
  • le regole devono essere ragionevoli cioè devono obbedire ad un principio di utilità per il figlio non metto regole tanto per metterle.

Se un bambino non ubbidisce è più facile che sia perché non ha capito la regola o non sia adeguata, talvolta va solo integrata ed è necessario un tempo maggiore perché diventi consuetudine.

Litigare è importante e bisogna insegnare a litigare fin da piccoli perché fonte di apprendimenti preziosi che si riveleranno utili nelle età successive:

  • capacità autoregolativa, cioè sapere negoziare tra se stessi (esigenze, desideri, volontà, motivazioni) e la realtà (quello che c’è fuori di noi)
  • imparare che il mondo ha tante sfaccettature e le cose possono essere viste da diversi punti di vista
  • incrementare le capacità creative (dette anche divergenti) nel risolvere problemi e trovare soluzioni

I litigi dei figli tra loro o con gli amici non sono miei litigi. Evitiamo di lasciarci coinvolgere, rischiamo di trasformare la situazione in un nostro problema, quindi non cerchiamo il colpevole e non forniamo la soluzione, piuttosto favoriamo le condizioni che consentano agli interessati di parlarsi tra loro e di credere che saranno in grado di trovare autonomamente la soluzione. ( per approfondire  ”Litigare con metodo.Gestire i litigi dei bambini a scuola” di Daniele Novara e Caterina Di Chio ed Erckson o “Litigare fa bene. Insegnare ai propri figli a gestire i conflitti, per crescerli più sicuri e felici” di Daniele Novara ed BUR- Rizzoli.

Inevitabilmente arrivano anche adolescenza e preadolescenza

Viviamo in un’epoca dove la precocizzazione, vivere esperienze, pensieri o esigenze non adatte all’età, è favorito dalle nuove modalità di comunicazione connesse alla rete e al suo accesso, di fatto senza filtri e accompagnamento. Anche la preadolescenza e adolescenza ne risentono scatenando “trasgressioni” che un tempo si verificavano solo nell’adolescenza piena. Se fino a 10 anni la madre ha avuto un ruolo prevalente nella comunicazione educativa ora è tempo del padre, non serve un padre confidente e nemmeno uno duro e rigido ma piuttosto che sappia negoziare le regole, presidiarle, mettere gli argini alle trasgressioni. più che confidenza è necessaria la fiducia e il rispetto reciproco che favoriscono la progressiva acquisizione di autonomia e responsabilità. E’ il padre che cura il front office comunicativo con i figli, la madre si accorda con il padre e quando la richiesta le viene anticipata può sempre dire “ ne parlo con il papà”.

Anche nell’adolescenza e preadolescenza le regole sono fondamentali per le stesse ragioni riportate in precedenza ma a differenza di quel periodo vanno negoziate perchè ora le competenze psichiche dei nostri figli sono, fortunatamente, diverse.  Ricordiamo che l’obiettivo di una buona educazione non è la trasformazione di figli in ciò che vorremmo noi, quanto piuttosto renderli in grado di affrontare la vita con competenza.

Talvolta l’adolescente, specialmente nella fascia 11- 16 anni, sconfina  in insulti e mancanze di rispetto, l’adulto educativo però deve riuscire a tenere una distanza basata sulla distinzione e sul rispetto. Si può provare a sperimentare la tecnica del silenzio attivo. In questa situazione si sospende ogni forma di comunicazione, specialmente se amicale e confidenziale, segnalando con il silenzio che lo sconfinamento non può essere tollerato pena la dispersione del rapporto educativo. E’ comunque un momento delicato che deve prevedere la condivisione nell’ambito della coppia genitoriale in modo che il figlio capisca che entrambi i genitori sono ugualmente intenzionati a supportare il figlio nella sua crescita e, ancora più difficile, che sia distinto da una reazione di rabbia o di disappunto verso il figlio. Non è una ritorsione dovuta ad una offesa personale fatta ai genitori, non è una punizione, ma piuttosto una necessità educativa per evitare che vengano prese strade sbagliate.

In un’età in cui i figli sono più propensi a farsi i fatti propri è forte la tentazione di operare con insistenze comunicative o peggio ancora domande inquisitorie. meglio darsi un adeguato tempo di sospensione e di attesa.

L’adulto educativo deve imparare a gestire il conflitto con i figli. Il conflitto non va confuso con la violenza. La violenza non tollera il conflitto infatti elimina l’avversario. Bisogna imparare a gestire la tensione relazionale legata ad una divergenza in modo gestibile. Una gestione sana del conflitto vuole seriamente affrontare il problema, non distrugge l’avversario e cerca di sviluppare la relazione con una modalità possibile. Talvolta un litigio è necessario, è importante non cercare un colpevole, aiutare i figli ad ascoltare la propria aggressività evitando di dare giudizi, fare attenzione alla propria permalosità e suscettibilità perché potrebbero essere sintomi di difficoltà ad affrontare il conflitto.

Il conflitto spesso non è chiaro, nasconde qualcosa di non evidente, di non detto. La parte nascosta del conflitto è più grande ed importante di quella che si vede ed è per questo che non dobbiamo trovare una soluzione a tutti i costi o con frettolosità. Talvolta i  conflitti nascono in contesti con schemi e ruoli molto stereotipati sui quali è necessario fare un primo lavoro per evitare di concentrarsi solo sui pretesti del conflitto.

Alcune attenzioni:

  • distaccarsi dalle proprie reazioni emotive ( i figli sono capaci di tirare fuori il peggio di noi, è l’occasione per conoscerci meglio) prendere tempo per ristabilire una prospettiva di coesione educativa ( se necessario rinviare ad altro momento)
  • osservare cercando di cogliere i diversi punti di vista sulla situazione conflittuale (inoltre analizziamo anche le regole che abbiamo dato, erano chiare ? Erano sostenibili? Erano realistiche? Noi genitori abbiamo chiesto la stessa cosa?)

Nella gestione dei figli le emozioni non bastano perché i conflitti necessitano di una gestione più complessa. la prima reazione spesso è la più sbagliata proprio perché emotiva, è come se attivassimo un copione comportamentale mentre dobbiamo aiutare i nostri figli a sdrammatizzare i loro eccessi emotivi favorendo in loro stessi un atteggiamento più distaccato. Le emozioni che proviamo talvolta sono legate alle nostre esperienze e vissuti che nulla dovrebbero avere a che fare con i nostri figli (per approfondire “La manutenzione dei tasti dolenti” di Daniele Novara ed Bur Rizzoli).

Può aiutare il concentrarsi sul problema piuttosto che sulla persona del figlio, evitare i giudizi categorici (sei sempre il solito). Non è un obiettivo essere sempre ascoltati dai figli, obiettivi sono l’autonomia, la capacità di stare al mondo, il cavarsela da soli. Nei momenti di difficoltà aiuta cercare un precedente positivo in cui il figlio ce l’ha fatta o la comunicazione ha funzionato.

Nel conflitto non va cercato un colpevole, deve essere un’occasione per riorganizzare la relazione e ripartire, vanno cercati gli interessi comuni alle esigenze evolutive del figlio e al proprio ruolo educativo e nel caso di provocazioni cercare di non raccoglierle facendo piuttosto domande.

Come comunicare con i figli?

Non prendere alla lettera quello che i figli ci dicono, non mortificarli,  non fare domande di controllo.

Accettare che non si dica tutto, usare domande maieutiche  di ascolto (chiedere un esempio), di ristrutturazione (quelle che danno uno spiraglio per uscire dall’impasse), di sostenibilità operativa ( che i nostri figli possano realizzare). 

Dare indicazioni comprensibili.

(per approfondire “Cambiare la scuola si può. Un nuovo metodo per insegnanti e genitori, per un’educazione finalmente efficace” di Daniele Novara ed BUR-Rizzoli).

IL DIRIGENTE

Gianfranco Bonomi Boseggia